13 maggio 2013

LA FUNZIONE ANTIDEMOCRATICA DELL'EURO NELLE PAROLE DEI SUOI ARCHITETTI

3 maggio 2013. C'è chi ancora pensa che la moneta sia uno strumento neutrale e non invece un mezzo fondamentale di politica economica. E c'è chi ancora pensa che l'euro, nelle intenzioni di chi l'ha imposto, era un'idea "nobile". Niente di più sbagliato. di Daniele Della Bona

LE RADICI ANTIDEMOCRATICHE DELL’EURO NELLE PAROLE DEI SUOI STESSI PADRI FONDATORI*

L’Euro è diventato oggi l’incarnazione di un vero e proprio strumento di governo ("means of structural transformation”, un mezzo di trasformazione strutturale lo definì Mario Monti nel 2011) con cui si stanno imponendo a interi popoli —sotto l’egida dell’emergenza, dello stato di necessità e con la mannaia dello spread pronta ad abbattere i governi poco graditi ai mercati— decisioni altrimenti improponibili e inaccettabili da parte dei cittadini.

Questo fatto, lungi dall’essere una mia idea o una mia opinione, è stato placidamente ammesso dai padri nobili della moneta unica a più riprese. Pertanto, faccio qui una breve rassegna per gli smemorati, utile a mostrare a quelli che parlano di “Unione politica europea”, di “Stati Uniti d’Europa”, di “Sogno europeo” e in generale di uno sforzo politico per un’Europa più democratica, che la natura politica di fondo dei tecnocrati europei è incompatibile con qualsiasi disegno di matrice veramente democratica.

Ecco le prove (con tutte le fonti liberamente consultabili), nelle parole dei padri fondatori dell’Euro e dell’Eurozona:

1) Mario Monti, 1998, dal libro Intervista sull’Italia in Europa di Federico Rampini (p. 40 e 50-51):

Federico Rampini: «Perché la Commissione europea ha accettato di diventare il capro espiatorio su cui scaricare l’impopolarità dei sacrifici?».

Risposta di Monti: «Perché, tutto sommato, alle istituzioni europee interessava che i Paesi facessero politiche di risanamento. E hanno accettato l’onere dell’impopolarità ESSENDO PIU’ LONTANE, PIU’ AL RIPARO, DAL PROCESSO ELETTORALE. Solo che questo un po’ per volta ha reso grigia e poi nera l’immagine dell’Europa presso i cittadini».

Federico Rampini: «Con uno sguardo storico all’integrazione dal 1957 in poi, si è spesso sostenuto che la Comunità europea ha fatto progressi prodigiosi perché era cementata dalla paura di un aggressore esterno, cioè l’impero sovietico. Si può andare avanti verso l’Europa unita […] senza una minaccia esterna?»

Risposta di Monti: «Ma secondo me il peso delle minacce esterne è ancora uno dei motori dell’integrazione europea. Anche se la minaccia cambia natura: la minaccia esterna di oggi si chiama concorrenza. Questo è un fattore potente di spinta per l’integrazione, anche se l’Europa reagisce troppo lentamente a questa minaccia. […] Un altro fenomeno che viene percepito come minaccia esterna, e che sta spingendo l’Europa verso una maggiore integrazione, è la “minaccia immigrazione”. […] QUINDI LE PAURE SONO STATE ALL’ORIGINE DELL’INTEGRAZIONE, LE PAURE HANNO CAMBIATO NATURA, PERÒ RIMANGONO TRA I MOTORI DELL’INTEGRAZIONE».

2) Jean Claude Juncker (ex presidente dell’Eurogruppo), 21 dicembre 1999, Der Spiegel, sul modus operandi della Commissione Europea:

«Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché LA MAGGIOR PARTE DELLA GENTE NON CAPISCE NIENTE DI COSA E’ STATO DECISO, andiamo avanti passo dopo passo fino al PUNTO DI NON RITORNO».

Nota: si tratta dello stesso Juncker che ha detto questa cosa qui lo scorso gennaio. Proseguiamo:

3) Tommaso Padoa Schioppa, autunno 1999, Commenataire n. 27 (estratto qui), sulla nascita dell’Unione Europea:

«La costruzione europea è una rivoluzione, anche se i rivoluzionari non sono dei cospiratori pallidi e magri, ma degli impiegati, dei funzionari, dei banchieri e dei professori. […] L’EUROPA NON NASCE DA UN MOVIMENTO DEMOCRATICO. […] Tra il polo del consenso popolare e quello della leadership di alcuni governanti, l’Europa è nata seguendo un metodo che potremmo definire con il termine di DISPOTISMO ILLUMINATO».

4) Romano Prodi, 4 dicembre 2001, Financial Times (citato qui), sui futuri problemi che l’Euro avrebbe causato:


«Sono sicuro che l’Euro ci costringerà a introdurre un nuovo insieme di strumenti di politica economica. Proporli adesso è politicamente impossibile. MA UN BEL GIORNO CI SARÀ UNA CRISI e si creeranno i nuovi strumenti».


5) Giuliano Amato, 12 luglio 2007, EuObserver, sulle modalità con cui fu scritto il Trattato Lisbona:

«Essi [i leader Europei] hanno deciso che il documento avrebbe dovuto essere illeggibile. Essendo illeggibile allora non sarebbe stato costituzionale […] Se fosse stato comprensibile, ci sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum, perché avrebbe significato che c’era qualcosa di nuovo [il riferimento qui è alla Costituzione Europea bocciata nel 2005, nda]. I primi ministri non produrranno niente direttamente perché si sentono più al sicuro con la cosa illeggibile. Essi possono presentarla meglio, in modo da EVITARE PERICOLOSI REFERENDUM».

6) Jacques Attali (uno dei padri fondatori dell’Unione europea e dei Trattati europei), 24 gennaio 2011, all’Università partecipativa:


«Abbiamo minuziosamente “dimenticato” di includere l’articolo per uscire da Maastricht.. In primo luogo, tutti coloro, e io ho il privilegio di averne fatto parte, che hanno partecipato alla stesura delle prime bozze del Trattato di Maastricht, hanno…o meglio ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne … sia impossibile. Abbiamo attentamente “dimenticato” di scrivere l’articolo che permetta di uscirne. NON È STATO MOLTO DEMOCRATICO, naturalmente, ma è stata un’ottima garanzia per rendere le cose più difficili, per costringerci ad andare avanti».

7) Mario Monti, 22 febbraio 2011, convegno Finanza: comportamenti, regole istituzioni, Università Liuss Guido Carli, sul bisogno crisi come strumento di governo. Intervista video disponibile qui (dal minuto 5 e 16 secondi):

«Non dobbiamo sorprenderci che L’EUROPA ABBIA BISOGNO DI CRISI E DI GRAVI CRISI PER FARE PASSI AVANTI. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile, conclamata».

8) Helmuth Kohl, 9 aprile 2013, Telegraph (traduzione qui) sull’ingresso nell’Euro da parte della Germania:

«Sapevo che non avrei mai potuto vincere un referendum in Germania. Avremmo perso il referendum sull’introduzione dell’euro. Questo è abbastanza chiaro. Avrei perso sette a tre. […] NEL CASO DELL’EURO, SONO STATO COME UN DITTATORE».

E adesso, chi vuole continuare a sognare continui pure a farlo.

* FONTE: Mosler economics modern money theory


Tratto da: Sollevazione

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